LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 22
26 marzo 2017 – 4ª domenica di Quaresima - Ciclo liturgico: anno A
Io sono la luce del mondo, dice il Signore,
chi segue me, avrà la luce della vita.
Giovanni 9,1-41 (1 Sam 16,1b.4a.6-7.10-13a - Sal 22 - Ef 5,8-14)
O Dio, Padre della luce, tu vedi le profondità del nostro cuore: non permettere che ci domini il potere delle tenebre, ma apri i nostri occhi con la grazia del tuo Spirito, perché vediamo colui che hai mandato a illuminare il mondo, e crediamo in lui solo, Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore.
Spunti per la riflessione
Tornare a vedere
Ci sono momenti nella vita in cui sprofondiamo nella notte.
Non quella che si alterna al giorno, che può essere dolce e intensa.
Ma quella dello spirito, dell’anima, dell’inconscio. Uno stato in cui la tenebra contraddistingue le nostre scelte, il nostro percorso.
Una notte interiore che possiamo scoprire d’improvviso, come uno stato dell’essere in quel mestiere straordinario che è la vita o in cui possiamo entrare dopo un evento difficile, un lutto, un fallimento, un errore.
Possiamo anche far finta di niente ed illuderci che vada tutto bene. In un mondo di tenebra ci si abitua presto all’assenza della luce.
Perciò oggi, in questo percorso di purificazione, di essenzialità, di rianimazione, di vivificazione che è la quaresima, in questo cammino in cui gli adulti si preparano a ricevere il battesimo e noi a riscoprirlo, parliamo di illuminazione.
Siamo assetati e Cristo è l’acqua.
Siamo ciechi e Cristo è la luce.
Cieco nato
L’evangelista Giovanni tenta di descrivere in che cosa consista la conversione, l’accoglienza del Vangelo: in una reale illuminazione, come chi sta in una stanza buia da tutta una vita e, d’improvviso, qualcuno spalanca le ante e lascia entrare la luce. La stanza è la stessa ma ora forme, colori, spazi hanno un significato diverso.
È l’esperienza che fa il cieco nato, mendicante, giudicato peccatore, lui o i suoi genitori, nella spietata logica dei suoi concittadini.
Un uomo abituato a convivere con le tenebre e col giudizio.
Come avviene anche a noi, sempre appesi alle parole degli altri, sempre attenti a comportarci come gli altri vorrebbero che ci comportassimo per meritarci attenzione e approvazione. Purtroppo anche fra cristiani.
È Gesù che, passando, vede l’uomo cieco.
Perché, come con Davide, Dio non vede ciò che guardano gli uomini, egli vede il cuore.
E inizia una liturgia di gesti semplici e primitivi, di dita, di saliva, che si pensava contenesse il soffio della vita, di acqua, segno del Battesimo che purifica.
L’illuminazione avviene per gradi, ma inizia sempre con un incontro.
L’uomo è cieco, ma Dio ci vede benissimo.
E avviene il cambiamento. Inesorabile. Potente.
Talmente forte che la gente non riconosce più quell’uomo.
Quando diventiamo discepoli, inesorabilmente, non siamo più le persone di prima.
Irriconoscibili. Anche a noi stessi.
Obiezioni
Invece di danzare per ciò che è accaduto i puri della Legge obiettano.
Non hanno emozioni, affetti. Si sono ritagliati il ruolo di difensori di Dio.
Senza che nessuno gliel’abbia chiesto.
Investigano, interrogano, chiedono.
Gesù è un peccatore perché trasgredisce la Legge, quindi è impossibile che abbia guarito quell’uomo che, quindi, è un bugiardo.
Il loro schema tiene, ingabbiano Dio nelle loro logiche assurde. Come rischiamo di fare noi, quando non ammettiamo che Dio ha molta più fantasia d noi per guarire le persone, quando ci facciamo i custodi della Torà sostituendoci a lui.
La lotta è dura, di mezzo c’è la più terribile delle armi di distruzione di massa: il senso di colpa.
È cieco, dev’essere colpa di qualcuno.
Se non lui i genitori i quali, nutriti per decenni a sensi di colpa, impauriti ed intimoriti non difendono nemmeno il figlio. Anch’essi divorati dai sensi di colpa.
Dio è già oltre. E la Parola, ricordiamocelo, non perde tempo a scovare i colpevoli o a dare risposte alle nostre domande filosofiche sull’origine del male.
Non intenta un processo, attua una nuova Creazione.
Autonomia
Gesù, intanto è sparito.
Lascia crescere il cieco che ora vede bene ed è davvero un’altra persona.
Non la vittima rosa dai sensi di colpa ma un uomo nuovo.
Leggete, vi prego. Tratta alla pari i dottori della Legge, risponde a tono, li prende pure per i fondelli.
Loro che credono di sapere non sanno spiegare come possa un peccatore guarire un cieco.
Giovanni, penna raffinata, lancia il sasso: chi è veramente cieco fra questi?
Chi non ci vede o chi presume di vedere tutto benissimo?
Alla fine la buttano in rissa.
Ma il cieco è ormai libero. Ha tagliato i ponti con quel mondo. È roba vecchia. Lui ora è un illuminato.
Riecco Gesù.
Ora il cieco guarito ha tutti gli elementi per capire.
Ora è libero. Ora vede. Ora non è più oppresso dal giudizio degli altri.
Peggio: dal giudizio dei devoti e dei pii.
Il Signore ci raggiunge sempre, prende l’iniziativa, ci insegue, ci raggiunge.
Se solo lo desideriamo.
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L’Autore
Paolo Curtaz
Cammino quaresimale
1ª domenica Mt 4,1-11 le tentazioni io sono la salvezza
2ª domenica Mt 17,1-9 la Trasfigurazione io sono la Parola
3ª domenica Gv 4,5-42 la Samaritana io sono l’acqua viva
4ª domenica Gv 9,1-41 il cieco nato io sono la luce del mondo
5ª domenica Gv 11,1-45 Lazzaro io sono la resurrezione e la vita
Esegesi biblica
Il cieco nato (9, 1-41)
Il vangelo di Giovanni è una composizione teologica e l’evangelista cerca di illustrare la persona e la missione di Gesù più che richiamare episodi concreti della sua vita.
Per Giovanni l’essenza di questo “segno” non consiste semplicemente nel fatto che venga restituita la vista, ma che venga donata la luce a chi non l’aveva mai posseduta. La luce che Gesù è venuto a portare non appartiene per diritto agli uomini, ma è un puro dono di Dio offerto per mezzo di Gesù Cristo: l’uomo, in questo senso, è per natura cieco nato.
Nel racconto si nota la tensione con il giudaismo, raffigurata non solo nel processo al cieco perché neghi l’opera di Gesù, ma anche in una nota che in realtà riflette la situazione del tempo in cui scriveva l’evangelista: “I Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga” (9,22).
Ma un filo conduttore è quello affidato alla sequenza dei titoli attribuiti a Gesù, destinati in crescendo a mostrare che il vero approdo non è tanto quello della vista fisica ma quello della fede: “quest’uomo” Gesù, “inviato”, “profeta”, “colui che è da Dio”, “Figlio dell’uomo”, “Signore”, con l’adorazione finale: “Io credo Signore” e gli si prostrò innanzi (v. 38).
La finale del racconto giovanneo del “segno” del cieco nato ha al centro la piena conversione del miracolato che proclama la sua fede nel Cristo come Kjrios “Signore”, il termine greco con cui si traduceva il nome divino JHWH della Bibbia ebraica.
Ancora una volta è confermato il fatto che per il quarto evangelista i miracoli abbiano un valore trascendente, da scoprire oltre il pure evento storico.
Dopo queste note esegetiche, facciamo ora una riflessione più a carattere spirituale.
Chi ha peccato? È l’eterna domanda che angustia il cuore dell’uomo di fronte al male. Bisogna trovare un responsabile, un colpevole a cui addossare il peso del male che sconvolge la nostra tranquillità. Così ci scarichiamo di ogni responsabilità e non cambiamo nulla dentro di noi.
Spesso il colpevole è il prossimo, la società, i potenti, oppure è Dio stesso che “permette”, che non proibisce, che non interviene a cambiare le cose! Ancora una volta si cerca di giudicare Dio e di misurarlo con le nostre povere capacità.
Ma Gesù risponde in modo chiaro e deciso: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio” (v. 3). È la risposta che non ammette repliche, e cambia totalmente la visuale dell’uomo; è la risposta che comincia ad illuminare la mente umana con una luce nuova e la libera dalle strettezze che le impediscono di vedere tutta la realtà, anche quella invisibile.
Qui viene una prima lezione di conversione: smettiamola di guardare sempre tutto con la nostra miopia; smettiamola di giudicare confrontandoci con la nostra povera esperienza.
È ora di aprirci alla vastità di Dio, alle sue dimensioni, alla sua grandezza. Ciò comporterà un senso di smarrimento, ma è il segno che finalmente siamo entrati nella sfera dell’invisibile, del soprannaturale, cioè della realtà definitiva dell’uomo.
“Tu l’hai visto!”. Così si presenta Gesù al cieco guarito (v. 37), dopo gli interrogatori dei farisei che hanno cercato di negare l’evidenza del miracolo solo per coprire il loro orgoglio e l’ignoranza di chi non vuole uscire dalle sicurezze abitudinarie.
Il cieco “vede”, mentre quelli che credono di “vedere” non vedono e non capiscono nulla, si coprono di ridicolo e restano nella menzogna: “Se foste ciechi non avreste nessun peccato, ma siccome dite di vedere, il vostro peccato rimane” (v. 41)
Il giudizio di Gesù è talmente chiaro e pesante, da suscitare l’ira e la vendetta di quei giudei tanto insofferenti di fronte alla verità. Ma questo giudizio cade anche su tutti noi quando non abbiamo il coraggio di aprire gli occhi, pensando di sapere già tutto, di avere già fatto la scelta giusta, di non avere più nulla da cambiare.
La conversione di cui abbiamo bisogno è precisamente questa: sentirci in stato di ricerca, desiderosi di un “di più” e di “un meglio” senza accontentarci di quello che già sappiamo e già siamo: voler conoscere meglio la parola di Dio per metterci in discussione e adeguare il vivere al credere.
Ma c’è sempre in noi la paura della luce: vogliamo tenere per noi qualche angolo oscuro della coscienza dove entriamo soltanto noi, ma Gesù ci ammonisce: “Mentre avete la luce, credete nella luce per diventare figli della luce” (Gv 12,36). Noi cristiani abbiamo la fortuna di avere la luce. Saremmo ingrati e sciocchi se non usassimo questo dono. Apriamoci “alla luce della fede” per portare un giudizio più positivo sulla nostra storia quotidiana, sul mondo e sulla chiesa: non il senso del castigo, della fatalità del male o dell’impossibilità di una santità autentica desiderata e costruita ogni giorno, ma la certezza che in noi “si manifesta l’opera di Dio” (v. 3). Gesù ce lo assicura e mette nelle nostre mani la realizzazione di questa promessa..
La luce di Dio illumini la nostra vita quotidiana e ci faccia capire le spinte segrete che muovono le nostre scelte anche in seno alla comunità cristiana, il perché di tanti nostri contemporanei che di cristiano non hanno nulla. Lasciamoci guidare dal “gusto” di Dio che non guarda alle apparenze ma al cuore, e diamo alle nostre relazioni e ai nostri giudizi sul prossimo questa nuova misura, cambierà qualcosa e in meglio.
È ora di svegliarci: come cristiani, come “mondo cattolico” è ora di cominciare qualcosa di nuovo più coerente col messaggio evangelico, qualcosa che raggiunga i fratelli addormentati e lontani dalla luce di Dio. È questo il compito, la nostra non piccola responsabilità.
A noi si presenta il Cristo, come messia, come profeta, come salvatore, a noi rivela la sua vera identità: non restiamo indifferenti, non lasciamoci raffreddare dall’abitudine. “Io credo” (v. 38) diventa allora la professione di un impegno decisivo.
La nostra vocazione di cristiani è di essere luce e figli della luce, e non possiamo essere luce che in lui, poiché ha detto: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12).
Nel battesimo noi siamo diventati “luce” e “figli della luce”. Così al simbolismo battesimale dell’ “acqua viva” si aggiunge quello della “luce”. Anzi nella notte di Pasqua, la luce precede l’acqua e pervade tutta la veglia. È il segno della risurrezione.
Il cammino del cristiano, allora, è cammino di luce, è cammino di risurrezione.
L’apostolo Paolo ci esorta, di conseguenza, a comportarci come “figli della luce” e ci indica che “il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità” (Ef 5,9).
Lo stesso apostolo ci suggerisce il proposito che dobbiamo fare e la decisione che dobbiamo prendere se vogliamo essere figli della luce: “Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie” (Rm 13, 12-13). Noi siamo luce del Signore.